Occhi esterni e cornetti al cioccolato
Noi donne ci guardiamo dall’esterno.
Lo dice Maura Gancitano nel suo saggio ‘Specchio delle mie brame’, e il succo più o meno è questo: non ci viviamo internamente le emozioni, le sensazioni, le azioni che svolgiamo perché spesso almeno 1/3 della nostra energia è speso cercando di concentrarci per immaginarci dall’esterno.
Ora, maschietti lettori della newsletter, anche Maura Gancitano dice che è un fenomeno che non sentono solo le donne, per cui non sentitevi offesi o non inclusi, è solo che la maggioranza delle persone colpite da questa sindrome dello specchio sono donne: per cui parlerò al femminile.
Quindi dicevo: noi donne ci guardiamo dall’esterno.
Fine giugno/inizio luglio è un periodo strano, stressante: è il periodo della sessione, delle scadenze, e soprattutto del caldo. Andando a sommare gli addendi il risultato che esce fuori è uno solo: persone che alle otto/nove di sera si rifugiano nel reparto frigo dei pochi supermercati aperti, alla ricerca di qualcosa di commestibile che in ordine deve essere:
fresco, per sopperire a 30 gradi fuori che non puoi contrastare né con ventilatore né con aria condizionata perché già la bolletta della luce di questa primavera è stata una mazzata, figuriamoci se accendiamo i condizionatori.
salutare, perché vogliamo prenderci cura di noi, vogliamo stare bene con i vestiti e le camice più attillate, perché anche la pelle poi ne risente, ma la verità è che se ordiniamo la pizza per la terza sera consecutiva anche quelli della pizzeria iniziano a preoccuparsi.
sfizioso, perché va bene tutto, ma con tutto lo stress lavorativo/universitario l’insalata triste per cena è una cattiveria.
E ci riconosciamo, noi umani prodotti dell’addizione tra le scadenze, lo stress ed il caldo, perché in questi supermercati oltre a ritrovarci tutti alla stessa ora, oltre a rimanere incantati per un lasso di tempo che può variare tra i 5 e i 25 minuti davanti ai surgelati o davanti al banco frigo, indecisi se cenare con la robiola o cenare con lo stracchino, ci riconosciamo tra noi perché ci presentiamo tutti in un mix di tute e pigiami.
Pantaloni della tuta, pantaloni leggeri presi alle bancarelle sotto casa, magliette con la stampa di una band piene di buchi perché c’hanno almeno dieci anni e via così.
Ecco, io ieri sono arrivata al livello pro di questa addizione. Ho dimenticato di cenare causa studio, per cui non avendo supermercati aperti vicino ho optato per la scelta più salutare possibile, per la scelta più giusta per il benessere del mio corpo e della mia mente: un cornetto al cioccolato preso nel bar siciliano del quartiere.
Sono scesa di casa con il mascara che mi arrivava alle guance, con una frangetta appena tagliata con le forbicine delle unghie, con una maglia dei Pink Floyd che ha almeno dieci anni, con le culotte con le quali dormo ed in ciabatte. Nel viaggio di ritorno guardandomi attorno, notando la quantità cospicua di persone presenti su quella stradina, tutti perfettamente in ordine, vestiti quasi eleganti, quasi da festa, guardando l’allegrezza che caratterizzava le persone che avevo attorno a me, mi sono casualmente resa conto che erano le 23 ed era un sabato sera.
Tutta questa storiella per fare una digressione e tornare all’inizio: noi ci guardiamo dall’esterno.
Il bar siciliano dista neanche dieci minuti a piedi da casa mia, e mentre camminavo sarebbe potuta succedere la qualunque: magari qualcuno mi stava fissando, magari no, magari qualcuno mi stava prendendo in giro per l’outfit, magari no, magari il gruppo di uomini adulti seduti alla pizzeria mi hanno guardato le gambe, magari no, magari qualcuno mi ha persino fischiata.
Io non mi sono resa conto di niente, e mai mi sarei potuta rendere conto di niente perché ero troppo concentrata a guardarmi dall’esterno, come se possedessi un altro paio di occhi da sganciare da me, da allontanare dalla mia figura per essere sicura che fosse tutto a posto.
E purtroppo quel “tutto a posto” non è sempre una questione di stile, non è sempre un controllare se la camicia è spiegazzata o se il pantalone ha la piega storta. Quel paio d’occhi in più, da tenere fuori da me, mi serve per vedere se quando cammino la maglia mi si appiccica troppo addosso, mostrando quanto possa essere gonfia, oppure se il pantaloncino mi copre abbastanza per non far intravedere la cellulite. Un paio di occhi in più per vedere se la mancanza di reggiseno fa sembrare il mio seno cadente attraverso la maglia, oppure se quando muovo troppo le braccia si vedano i peli sotto le ascelle.
Non ero minimamente consapevole del nostro costante guardarci dall’esterno, la prima volta che ho letto questo concetto in Maura Gancitano ho capito esattamente che meccanismo fosse e cosa volesse dire pensando a tutte le volte in cui ho fatto sesso.
Soprattutto quando si fa sesso con una persona nuova, la mia concentrazione si dimezzata perché devo potermi vedere anche con i miei occhi esterni, devo potermi vedere da fuori perché se no chissà l’altro che vede, e vedendo ciò che vede chissà poi cosa penserebbe.
Ma cosa penserebbe?
Quelle persone che in mezzo alla strada, ieri notte, mi hanno vista girare per il quartiere con le culotte, mettendo che veramente abbiano pensato qualcosa di me, cosa mai avrebbero potuto pensare? Che ho la cellulite perché ceno con i cornetti al cioccolato di venerdì sera? Sì, potenzialmente è vero, e quindi? Quindi?
Ho detto alla mia psicologa che sono entrata nel mio periodo ‘coraggio’, in cui cerco di fare tante piccole azioni coraggiose che potenzialmente a lungo raggio potrebbero cambiare la qualità della mia vita.
Superare i miei occhi esterni è quell’atto, quella azione, per la quale ancora non ho abbastanza coraggio.
E il paradosso è che, guardandoci dall’esterno, il giudizio più pesante non è quello che potrebbe potenzialmente venire dall’altro ma è quello che viene da noi. Ci concentriamo per vederci dall’esterno, sprechiamo una parte (una gran parte) della nostra energia per guardarci dall’esterno senza viverci le situazioni, decidiamo che non ci piacciamo, che non siamo abbastanza, e ci roviniamo per giunta le situazioni che stiamo vivendo, rimanendo senza più nemmeno un briciolo di energia.
Allora ci trasciniamo a casa, senza forza, piene di sconforto, per cosa? Per la nostra immagine, per un concetto di bellezza.
Ti faccio una domanda lettrice (ma anche lettore eh): quanto ti è difficile volerti bene? E quanto è facile confondere i concetti di benessere e di equilibrio?
Per quasi dieci giorni io mi sono completamente lasciata andare: niente regole, niente palestra, comfort food/ junk food quando mi pareva e ozio sul letto. E pensavo lo stessi facendo per me, per volermi bene.
E invece era una risposta, una ribellione per quel paio di occhi esterni il cui giudizio gravoso fa rispondere il mio corpo come se fosse un’adolescente alle prime crisi con i genitori: porte chiuse, rigorosamente sbattute, urla e ribellioni inutili. Dieci giorni senza regole, convinta che li stessi portando avanti per il mio benessere, in realtà si sono dimostrati essere l’urlo disperato contro il concetto irraggiungibile di perfezione sostenuto dal mio paio di occhi esterni.
Come direbbe la mia Coinquilina (che è toscana, ma sta cercando di imparare il calabrese): “Ih ‘cchi palle”.
E quindi, per chiudere questa domenica, ti lascio con due domande: quante volte ti guardi con i tuoi occhi esterni? E quanto ti è facile individuare cosa fai per volerti bene?
Alla prossima settimana, con amore
Adelio