Note a piè di pagina settembrine
Carissime lettrici e carissimi lettori,
vorrei che mi immaginaste così: sbracata in pigiama sul divano, in un sabato sera che sa di mercoledì, a scrivere mentre ceno con la ricotta mangiata direttamente dal suo barattolo direttamente col cucchiaino, sì, quello del caffè.
Ieri ho scrollato la galleria delle foto nel mio telefono, mi sono riguardata tutta l’estate. Questo perché sono sparita dai social per qualche giorno (forse una settimana o più, non so) e sono sparita dalla newsletter per l’estate, così cercavo nelle foto qualcosa da raccontare, da raccontarvi, qualcosa da mostrare e sistemare per i social.
E c’erano tante cose belle di cui parlare, ci sono tante cose belle di cui parlare fatte quest’estate. Niente di fancy, niente gite in barca o aperitivi eleganti. Ma ci sono paesaggi infinitamente belli, guardati in viaggi di dieci ore fatti con la macchina o con il pullman. Si possono raccontare le risate, potrei raccontare di quella volta in cui ho dipinto le gambe di mia sorella in riva a mare al tramonto, oppure di quando ho improvvisato una canzone con un tamburello sotto le stelle in Toscana, potrei raccontare che sono andata a ballare per la prima volta e che ho scoperto quanto mi piaccia ballare (cosa che mi ha del tutto sconvolta).
Eppure mi sono ritrovata a tornare a Roma senza la voglia di dire. Senza voglia di dire, di raccontare, di mostrare, di sistemare, mi sono ritrovata stesa sul mio letto romano a pensare: “ho perso il mio punto di vista”. E allora ho preferito l’assenteismo ad una comunicazione vuota.
Sto preparando due esami, uno di questo è filologia. Non sto qui a spiegare cosa sia (che magari non v’interessa) però vi chiedo in questa domenica: sapete cosa sono e a cosa servono le note a piè di pagina?
Le note a piè di pagina si ritrovano soprattutto nei testi classici o nei saggi, sono tutte quelle note riportate sul fondo della pagina. Possono riportare informazioni, ad esempio nei saggi si rimanda alle ‘note a piè di pagina’ per specificare da dove è stata presa una determinata citazione.
Nei testi classici, soprattutto quando si leggono le edizioni critiche, vengono riportate le altre lezioni, le varianti. Dei testi, soprattutto quelli antichi ma anche quelli moderni, capitava che si avessero più versioni della stessa porzione di testo o del testo intero, un po’ perché magari veniva copiato e quindi tramandato con degli errori che sono arrivati fino a noi, un po’ perché l’autore magari correggeva, sistemava e cambiava alcuni pezzi nel corso del tempo, e a noi sono arrivate tutte le varianti.
Così capita di avere delle note a piè di pagina (spesso molto lunghe) in cui ritroviamo queste varianti, in cui ritroviamo queste altre versioni. Quanto è affascinante? Leggere lo stesso pensiero, la stessa porzione di racconto, ma in modo diverso o con un punto di vista diverso o ancora con un linguaggio diverso.
Ecco, forse non trovavo la cosa giusta da raccontare di questo mese perché la cosa giusta da raccontare sono le note a piè di pagina. Le varianti, quell’altra versione della storia che per un motivo o per un altro è stata scartata ma che qualcuno ha recuperato e conservato.
Quindi ricominciamo:
Care lettrici e cari lettori, ecco la mia classica domanda da porvi nella newsletter domenicale: quali sono le vostre note a piè di pagina estive?
La mia prima nota sicuramente è essere arrivata ad una consapevolezza. Implicitamente, quasi come se fosse stato un’insegnamento passato sotto la sottile fessura di una porta chiusa, la terapia mi sta insegnando a non fuggire. E dico implicitamente perché non pensavo di averlo imparato, e invece mi sono ritrovata ad usare le vacanze come periodo per testare questa nuova skill: restare.
E mi sono riscoperta una piagnona: ‘ao ma quanto se piagne nella vita? Fuggire dalle situazioni non mi ha mai dato la possibilità di scoprire questa cosa, invece ora che mi sforzo, che prendo coraggio, e trovo il modus operandi per restare, ho capito perché mi piaceva scappare: perché quando resti piangi, ma forse non è del tutto un male.
E poi, attraversando un percorso lento e graduale che a me in realtà è sembrato velocissimo e improvviso, mi sono ritrovata senza voce.
La mia psicologa dice sempre che la nostra mente scarica sul corpo ciò che non riesce a farci comprendere, il malessere che non riusciamo a vedere viene trasferito e somatizzato sul e dal nostro corpo.
Ecco, io sono tornata a Roma e mi si è abbassata la voce. Certo, potrebbe essere anche stata colpa dell’aria condizionata delle infinite ore di treno affrontate, ma mi piace pensare sia stata anche colpa della somatizzazione.
Ho perso il mio punto di vista e ho perso fisicamente la mia voce.
Ho perso il mio punto di vista, un po’ come se avessi perso una bussola, perché davanti a me non son più riuscita a mettere a fuoco il contesto dentro la quale mi stavo muovendo.
Negli ultimi giorni di vacanze ho visto un video su Tiktok: una ragazza spiegava di provare un senso di angoscia verso e a causa dei social, non tanto per i contenuti, ciò che si vuole dire o come lo si vuole dire, ma per il pensiero di chi quei contenuti li guarda. Ci si esprime, si condividono delle porzioni di realtà per e con gente che interagisce con noi, che ci parla, con i social parliamo tra di noi. Però ciò che angosciava questa ragazza sono i “ghosts”, coloro che guardano tutto ciò che facciamo, che sanno molte cose di noi, che ci osservano, magari si informano anche, vanno nella barra di ricerca e non aspettano di trovarci casualmente, cercano proprio il nostro nome, eppure non fanno niente. Ci guardano e osservano passivamente.
Un po’ come quell’ex che anche se in buoni rapporti, anche se si informa sulla tua vita, quando ti incrocia per strada decide di non salutarti.
Da quando ho visto quel video ho continuato a chiedermi il perché di tutto ciò, e perché mi ha condizionato così tanto da sparire dai social per più di una settimana.
Ho scavato fin quando non mi sono data un principio di risposta: ciò che angoscia è il timore del giudizio. Chissà cosa penserà guardandomi da lontano, chissà cosa non piace a questa persona di me, di quello che condivido, da provare solo il desiderio di guardare da lontano, senza salutare.
Le mie note a piè di pagina settembrine (che in realtà non sono altro che lo strascico dei pensieri di Agosto) sono costellate da tante domande universali: cosa ho veramente da dire? Ne vale la pena? Lo sto facendo nel modo giusto? E se sì, perché poi vengo guardata ma non salutata? Perché quell’altra persona guarda tutto ciò che faccio ma poi non mi risponde quando gli scrivo?
Ecco, sì, le varianti di questa mia estate sono piene di domande, di piantini fatti davanti a ‘Mary Poppins’, di dubbi e di questa eterna e gravosa paura del giudizio. Che mi si pianta alla fine dello sterno, sulla bocca dello stomaco, come se possedesse la zampa di un elefante e stesse giocando a fare l’equilibrista, tenendo tutto il suo peso su una sola zampa: quella messa sullo stomaco, quella che fa venire la gastrite.
Anche per tutti noi, le note a piè di pagina come per i migliori filologi sono dei fili da sbrogliare, sono come i nodi delle collane che si formano quando si legano tutte tra di loro. Si sbrogliano, ci vuole tempo e tanti piantini (che magari ammorbidiscono i nodi) ma si sbrogliano.
Vi saluto con questo mio lento e gentile rientro nel mondo dei social, sempre con amore
Adelio