Il sentiero di Kim
Carissime lettrici e carissimi lettori,
siamo tante persone, troppe.
Ho da poco sostenuto un esame di pedagogia generale, uno di quegli esami orribili, fatti svogliatamente a fine sessione, proprio per dire che vogliamo avvicinarci alla laurea. Però uno dei saggi obbligatori riguardava il funzionamento dei social.
Milena Santerini dice questo: i social danno a tutte le persone uguale potere, un’uguale visibilità, a tutte le persone è dato lo stesso spazio, lo stesso quantitativo di parole, lo stesso pubblico. Sintesi: siamo talmente tanti che se qualcuno sparisce dai social, se qualcuno tace, ci sono talmente tante voci ancora in giro che nessuno se ne accorge.
Ho cancellato Instagram per il periodo della sessione, ho usato tiktok in maniera totalmente passiva ( a meno che non si consideri attivo inviare agli amici centinaia di tiktok che non guarderanno mai). Non ho scritto nulla, o almeno non pubblicamente, non mi sono espressa su niente, ho volontariamente scelto di perdere la voce.
Ed ecco le mie domande per voi:
Avete mai la sensazione di essere delle persone completamente inutili? Che i social li usate come mezzo solo per spiare la vita degli altri e mettere in pausa la vostra? Che condividete post/informazioni quasi per ‘dovere’ sociale? Per far vedere da che parte state?
Che siete persone consapevoli del fatto che la guerra sia sbagliata, che state guardando anche voi Sanremo, che Emma Stone è l’attrice migliore della nostra generazione, che sapete cosa sia il femminismo ma non siete d’accordo con tutte le femministe, che quanto ci siamo emozionati con “La rondine” di Angelina Mango, quanto ci siamo indignati per Geolier e chissà se Fedez e Chiara Ferragni si saranno lasciati veramente.
Questa è stata la mia sensazione dell’ultimo periodo: ho smesso di disegnare, di scrivere, di girare video, di parlare di libri e di parlare in generale.
Mi sono raccontata che era colpa della sessione, delle troppe cose da fare, della voglia di uscire, camminare, della voglia di parlare e baciare altre persone che doveva essere più forte della voglia di rimanere nella mia stanzetta a disegnare o scrivere con un computer tra le mani.
Poi ho letto Calvino, e ho iniziato a capire.
Nel 1947 un giovanissimo Calvino (ma giovanissimo nel senso che aveva la mia età) pubblica “Il sentiero dei nidi di ragno”.
Non vi racconto la trama perché online trovate tutto, però vi dico che racconta la guerra partigiana e la racconta dal punto di vista di un bambino. Non dirà mai che Pin (il protagonista) è un bambino: lo fa entrare in scena gridando, facendo i capricci, Calvino racconta di un ragazzino che fra le battaglie e gli spari si muove alla ricerca di un ‘Grande amico’.
Per questa Newsletter non è importante Pin ma il motivo per cui Calvino sceglie di parlare dal punto di vista di un innocente, con la voce di una persona non consapevole di ciò che ha attorno.
Calvino era un borghese figlio di borghesi; per ideali politici si ritrova a combattere per il popolo e decide di raccontare la guerra. Decide di raccontare la guerra del popolo: un borghese che racconta il punto di vista del proletariato.
Come mai poteva essere credibile?
Calvino è un furbo, un silenzioso che impreparato non si fa cogliere mai: non può raccontare del popolo, del proletariato, dall’altezza del suo privilegio di borghese e intellettuale. Deve scendere, e usa come scalino per questa discesa gli occhi di un bambino, di chi vive le cose e ancora del tutto non sa.
Cesare Pavese apprezza e celebra “Il sentiero dei nidi di ragno”, eppure sottolinea una stonatura: definisce Calvino “lo scoiattolo della penna”, ma il Capitolo 9 del romanzo per lui fuoriesce dagli schemi fissati dai capitoli precedenti.
Il Capitolo9 è l’unico in cui lo sguardo di Pin è assente, nel Capitolo 9 parla un adulto: Kim. E Kim è un borghese e un intellettuale, Kim è un Calvino.
Kim e Pin; per Pin “il sentiero” è la strada che lo porta verso l’età adulta che tanto brama, per Kim “il sentiero” è il non-luogo in cui cammina quando pensa, quando ragiona, “il sentiero” è il non-luogo in cui può pensare mettendo in pausa la guerra che ha attorno.
Quando ho finito di leggere il libro (che consiglio vivamente) ho fatto un pensiero: Calvino si sente in colpa. Si sforza per un intero libro di non parlare di ideologie, di guerra, di cosa debba fare veramente un intellettuale (e quindi cosa debba fare veramente lui) all’interno di una società in perpetua lotta, e poi cede per un senso di colpa. Non può scrivere un libro senza parlare con la sua voce.
Quello che ho visto io in questi mesi è che i social hanno imboccato il sentiero di Pin: tutte le persone con i loro profili condividono cose, poi succede qualcosa di più grande come genocidi, rivolte, come la polizia che manganella senza apparente motivo giovani disarmati a Pisa, e allora per un sentimento che si muove a metà tra la solidarietà e il senso di colpa quei profili che condividono cose prendono una pausa. Condividono un articolo scritto da altri, si assicurano che i loro follower conoscano la loro posizione sull’argomento o il loro interesse, e poi riprendono a condividere cose.
Imboccano la strada di Pin, senza pensare però che Pin è un bambino di massimo undici anni.
Questa è la nuova veste dell’informazione? Questo è il nuovo abito che indossa la presa di posizione individuale?
Ho fatto un disegnetto: è un autoritratto, una me con un lunghissimo collo ( a breve lo caricherò su Instagram) e voglio riportarvi qui quello che ho scritto su questo disegnetto.
Volevo dare una spiegazione più lunga per la mia assenza dai social dell’ultimo periodo, e la volevo dare qui. Perché l’algoritmo di oggi predilige i contenuti semplici, brevi, i video in cui si parla poco e si cattura l’attenzione del destinatario. Ma l’algoritmo non è un’entità magica, l’algoritmo lo costruisce l’identità che fruisce dei social, siamo noi ad essere assuefatti alla velocità, assuefatti al prendere posizione ricondividendo una notizia sulle storie.
Ed è vero: nei social ci sono tante voci, se una sparisce non se ne rende conto nessuno, eppure stamattina mi è arrivato un messaggio da una persona tra voi. Una persona che mi ha chiesto come stessi, che ha avuto la cura di farmi sapere che le mancavano i miei post.
Allora anche se ci muoviamo all’interno di questi sentieri che sembrano non avere una fine, che sembrano non portarci da nessuna parte, forse è il caso di riprendere a camminare per scoprire anche il Sentiero di Kim.
Che anche se risuona come una nota stonata, come affermava Pavese, forse ritornare ad esprimersi eludendo la semplicità per abituarsi alla complessità delle cose non è così sbagliato. Sicuramente è più scomodo, più faticoso, azzarderei più frustrante impegnarsi in progetti o discorsi senza sapere dove mai potranno andare a parare, chi mai li accoglierà o li ascolterà, ma magari vale la pena ricominciare a parlare.
Io vi abbraccio, sperando di scrivervi più spesso, e leggere come sempre i vostri pareri.
Con amore,
Adelio (dal sentiero di Kim)