Gradini e macchinette del caffè
Carissime lettrici e carissimi lettori,
la newsletter di questa domenica si apre subito con una domanda per voi: credete nel destino? Nelle coincidenze? Nelle cose già scritte?
A me succede sempre una cosa: quando il caffè mi esce male dalla moka c’è qualcosa che non va.
Possiamo considerarla una scemenza? Sì. Non ha nessuna base scientifica e razionale? Chiaramente sì. Ci sono state occasioni in cui anche quando il caffè mi veniva bene c’era qualcosa che non andava? Certamente. Eppure, nonostante le ultime tre risposte affermative, ci credo lo stesso.
Il mio studio analitico, scientifico e razionale è iniziato appena ho compiuto vent’anni.
Per anni e anni il caffè mi è sempre venuto buono, non importava che tipo di macina avessi o quanto vecchia, sporca o bruciata fosse la moka. Io il caffè l’ho sempre saputo fare. Poi sono andata a convivere col mio ex, alla prima crisi che abbiamo avuto ho iniziato a bruciare il caffè, per più di sei mesi mi è stato imposto di non toccare la moka perché: “lo bruci a prescindere, tanto vale che faccia io”. Appena ci siamo lasciati e ho cambiato casa il caffè ha ricominciato ad uscirmi bene.
Ed arriviamo al presente, ai miei 24 anni (quindi con ben 4 anni di analisi scientifiche e pragmatiche fatte sulle varie moke delle centinaia di case e di coinquilini che ho cambiato) ad oggi il caffè è tornato ad uscire bene, certo qualche volta capita che la macchinetta venga presa male dal manico, che mi bruci e mi caschi tutto il caffè bollente appena fatto su fornelli e cassetti sottostanti, macchiando anche tutte le pentole all’interno (sì, è successo spesso) però esce bene.
Qualche giorno fa l’ho bruciato.
Allarme.
Lo stesso giorno mi sono fatta male al ginocchio. Che può sembrare una sciocchezza, una banalità, però io in 24 anni di vita non mi sono mai fatta male alle ginocchia.
La sera stessa ho guardato un film (non vi dico quale, così non verrò accusata per spoiler, ma è francese ed il protagonista maschile è Vincent Cassel) e la protagonista femminile del film si fa male ad un ginocchio. Quando l’ho visto ho pensato:
‘che assurdità, che assurda coincidenza guardare questo film proprio in questa giornata’
e il momento più catartico è stato quando la protagonista, chiusa in un centro di riabilitazione, parla con una psicologa.
La mia psicologa mi dice spesso che il nostro corpo cerca di spostare verso l’esterno il male che proviamo all’interno, ovvero che spesso (soprattutto quando non ci ascoltiamo) il nostro corpo ascolta le nostre ansie, le nostre paranoie e ce le dimostra fisicamente.
Ed io a questa cosa ho sempre dato molto credito; ma va bene fin quando ci contorciamo talmente tanto nel nostro overthinking che ci viene il mal di testa, il mal di stomaco, la gastrite, ma il male al ginocchio? O alla schiena? Anche quello viene dalla nostra testa?
Ecco, la psicologa del film alla protagonista dice che le ginocchia cedono quando la mente si rifiuta di andare avanti, cedono quando la nostra testa non riesce ad accettare i cambiamenti, non riesce ad uscire dai suoi schemi.
Quindi basta questo? Basta uscire dai propri schemi per far passare il dolore alle ginocchia? La mia fisioterapista direbbe di no, però c’ho provato lo stesso, seguendo la stessa linea razionale e scientifica dell’analisi della mia vita in base a come esce il caffè dalla moka.
Allora la rottura dei miei schemi è partita da dove è giusto che partisse: il mio letto, durante una notte insonne, alle cinque del mattino con un caffè e cinque minuti presi per scaricare Tinder.
Non è rimasto installato nel mio telefono nemmeno cinque giorni, ma è rimasto il tempo necessario per affrontare conversazioni paradossali con uomini veramente ma veramente strani e per piegarsi dalle risate per le bio scritte con trasporto e sentimento, tipo “tua madre mi amerà i tuoi vicini mi odieranno”.
Allora ho iniziato a salire i gradini col mio ginocchio malandato.
Primo gradino: un date. Prendersi un caffè e un paio d’ore per chiacchierare con una persona completamente sconosciuta.
Secondo gradino: presentarsi ad un esame che ero convinta di non passare.
Terzo gradino: non scappare dai ritardi delle persone, accettare le serate non organizzate e passare il sabato a vagare al buio per villa borghese, senza piani, per ritrovarsi davanti davanti ad un lago illuminati solo dalla luna e dalla luce di un tempio.
Quarto gradino: utilizzare il rosa in uno dei miei disegnetti.
Quattro gradini per uscire fuori dai miei schemi; è passato il dolore al ginocchio? No, ma forse il punto è non smettere di camminarci sopra nonostante il fastidio.
Sicuramente un fatto concreto è che stamattina ho rifatto il caffè con la moka, è tornato ad essere buono, ed io alle coincidenze non ci credo; anche perché ho appena scoperto che la luce del tempio che mi illuminava ieri notte era la luce del tempio di Esculapio, dedicato al dio della medicina, che magari una grazia per il ginocchio me la fa ora che la mia fisioterapista se ne va in ferie.
Vi lascio così questa domenica, con analisi e pensieri irrazionali sulle coincidenze e su quanto le cose siano già scritte, ci risentiamo la settimana prossima.
Con amore,
Adelio